Nel vol. III dedicato alla Palestina, un’intervista del 2018, di assoluta attualità, a Yahya Sinwar, leader di Hamas ucciso da Israele lo scorso 16 ottobre.
Guastafeste è una newsletter a cura di Vera Sibilio.
Intervista di Francesca Borri a Yahya Sinwar
Traduzione di Vera Sibilio
10.05.2018
FB: Non so quasi nulla di lei. Si dice sia piuttosto riservato, un uomo di poche parole che parla raramente con i giornalisti. In effetti, questa è la prima volta che dialoga con media occidentali, pur essendo alla guida di Hamas da più di un anno. Perché ha scelto di parlare ora?
YS: Perché ora vedo una reale opportunità di cambiamento.
FB: Un’opportunità? Adesso?
YS: Sì, adesso.
FB: Onestamente, sembra che sia più probabile una nuova guerra. Sono stata a Gaza lo scorso giugno e tutto era come al solito: proiettili volanti, gas lacrimogeni, feriti ovunque; attacchi aerei, razzi, altri attacchi aerei. Un’occasione d’oro per farsi sparare. Da aprile, dall’inizio di questa ultima ondata di proteste, ci sono stati quasi 200 morti.
YS: Mentre dall’altra parte c’è stato un solo morto. Quindi, prima di tutto, direi che “guerra” è una parola abbastanza fuorviante: non è che c’è guerra per un po’ e poi qualche giorno di pace. Noi viviamo sotto occupazione: è un’aggressione quotidiana, solo di intensità variabile. Comunque, la verità è che una nuova guerra non è nell’interesse di nessuno e, di sicuro, non nel nostro. Chi vorrebbe affrontare una potenza nucleare con delle fionde? Per Netanyahu, però, una vittoria sarebbe anche peggio di una sconfitta, perché si tratterebbe della quarta guerra, che non dovrebbe finire come la terza, che è già finita come la seconda e come la prima. Dovrebbero riuscire a conquistare Gaza, a sbarazzarsi dei palestinesi della Cisgiordania (come si stanno impegnando a fare) e mantenere la maggioranza ebraica. Non credo che vogliano altri due milioni di arabi, no. La guerra non porta a nulla.
FB: È strano sentir parlare così un esponente dell’ala militare di Hamas.
YS: Non sono il capo di una milizia, sono di Hamas. E questo è tutto. Sono il leader di Gaza, di Hamas, che è qualcosa di molto più complesso di una milizia, è un movimento di liberazione nazionale. E il mio dovere principale è quello di agire nell’interesse del mio popolo: difendere il suo diritto alla libertà e all’indipendenza. Lei è una corrispondente di guerra, le piace la guerra?
FB: Per niente.
YS: E allora perché dovrebbe piacere a me? Chi sa cos’è la guerra non può amarla.
FB: Ma lei ha combattuto per tutta la vita.
YS: E non sto dicendo che non lo farò mai più, anzi. Sto dicendo che non voglio più la guerra, che voglio la fine dell’occupazione. Camminando in spiaggia al tramonto, incontro tutti questi adolescenti che chiacchierano e cercano di immaginare che aspetto abbia il mondo al di là del mare, che aspetto ha la vita. È devastante. Dovrebbe essere devastante per tutti. Io li voglio vedere liberi.
FB: I confini sono sostanzialmente sigillati da 11 anni. A Gaza non c’è nemmeno più acqua, tranne quella del mare. Come si vive qui?
YS: Come pensa che si possa vivere? Il 55% della popolazione ha meno di 15 anni. Non stiamo parlando di terroristi, ma di ragazzini. Non hanno un’affiliazione politica, hanno solo paura. Io li voglio vedere liberi.
FB: L’80% della popolazione dipende da aiuti umanitari, il 50% non vive in una situazione di sicurezza alimentare e un altro 50% soffre la fame. Secondo le Nazioni Unite, Gaza sarà presto inadatta ad accogliere la vita. Ciononostante, negli ultimi anni, Hamas ha trovato le risorse per scavare i suoi tunnel.
YS: E per fortuna. Altrimenti saremmo tutti morti. Voi ragionate in base alla propaganda sionista, ma l’assedio non è arrivato dopo i tunnel, non è stata una reazione ai tunnel. È il contrario. A causa dell’assedio e della crisi umanitaria, per sopravvivere, non avevamo altra scelta che scavare tunnel. Ci sono stati dei momenti in cui persino il latte non poteva essere portato a Gaza.
FB: Lei sa di cosa sto parlando. Non crede di avere qualche responsabilità?
YS: La responsabilità è dell’assediante, non dell’assediato. La mia responsabilità è di lavorare con chiunque possa aiutarci a porre fine a questo assedio mortale e ingiusto; sto pensando soprattutto alla comunità internazionale. Perché Gaza non può andare avanti così, la situazione è insostenibile. E in questo modo, una escalation è inevitabile.
FB: E allora perché non comprate latte invece che armi?
YS: Se non avessimo comprato armi a quest’ora non saremmo vivi. Abbiamo comprato anche il latte, se è questo che vi preoccupa. Abbiamo comprato latte e molto altro: cibo, medicine. Siamo 2 milioni. Lei ha idea di cosa significhi procurare cibo e medicine per 2 milioni di persone? I tunnel sono usati solo in minima parte per la resistenza (anche perché se non morissimo di fame, moriremmo a causa degli attacchi aerei). Hamas paga la resistenza di tasca propria, non con fondi pubblici. Di tasca propria.
FB: Quindi Hamas si è comportato bene al governo.
YS: Lei crede che governare Gaza è come governare Parigi? Siamo stati al potere per anni in molte municipalità proprio grazie alla nostra reputazione fatta di efficienza e trasparenza. Nel 2006 abbiamo vinto le elezioni politiche e siamo stati messi sulla lista nera. Non c’è elettricità, è vero, questo influisce su tutto. Ma lei pensa che non abbiamo ingegneri? Che non siamo capaci di costruire una turbina? Certo che sì. Ma in che modo? Con la sabbia? Potremmo disporre del miglior chirurgo della città, ma non potremmo farlo operare con forchetta e coltello. Guardi la sua pelle, si sta screpolando. Qui, se arrivi da fuori, dal mondo, ti ammali subito. Quello che dovrebbe saltare all’occhio è che siamo ancora vivi.
FB: E quindi adesso Hamas vorrebbe un cessate il fuoco. I negoziati vanno avanti 24 ore su 24. Cosa intende lei per “cessate il fuoco”?
YS: Intendo cessate il fuoco. Quiete. La fine dell’assedio.
FB: Quiete per quiete.
YS: No. Quiete per quiete, e la fine dell’assedio. L’assedio non è quiete.
FB: E la quiete, per quanto tempo?
YS: Onestamente questo non è il problema principale. Quello che conta è quello che succede sul campo nel frattempo. Perché se il cessate il fuoco vuol dire che non veniamo bombardati ma continuiamo a non avere acqua, elettricità, niente, allora siamo ancora sotto assedio, e non ha senso. Perché l’assedio è un tipo di guerra, una guerra con altri mezzi. Oltre ad essere un crimine secondo il diritto internazionale. Non ci può essere un cessate il fuoco sotto assedio. Se vedessimo Gaza tornare alla normalità, se ci fossero non solo aiuti ma anche investimenti, sviluppo – perché non siamo mendicanti, vogliamo lavorare, studiare, viaggiare, come tutti voi, vogliamo vivere e stare in piedi da soli – se iniziassimo a vedere una differenza, potremmo andare avanti. E Hamas farebbe del suo meglio. Ma non c’è sicurezza, né stabilità – a Gaza o nella regione – senza libertà e giustizia. Non voglio la quiete del cimitero.
FB: Ok, ma forse è solo un trucco per riorganizzarsi e andare in guerra tra sei mesi. Perché gli israeliani dovrebbero fidarsi di voi?
YS: Innanzitutto, non sono mai andato in guerra, la guerra è venuta da me. E la mia domanda, onestamente, è opposta. Perché dovremmo noi fidarci di loro? Hanno lasciato Gaza nel 2005 e rimodellato l’occupazione. Prima erano dentro, ora bloccano i confini. Chi può sapere cosa gli passa per la testa? Eppure, la fiducia si basa proprio su questo. E forse questo è il nostro errore. Pensiamo sempre in termini di “chi farà il primo passo, tu o io?”.
FB: Ok, ma, di nuovo, se il cessate il fuoco non dovesse funzionare…
YS: Perché, per una volta, non possiamo immaginare invece cosa succederebbe se funzionasse? Perché questa potrebbe essere una motivazione forte per fare del nostro meglio per farlo funzionare, no? Se per un momento immaginassimo Gaza com’era non molto tempo fa –ha mai visto foto degli anni ’50, quando c’erano turisti da ogni dove?
FB: E Gaza era piena di bar, negozi, palme. Ho visto quelle foto, sì.
YS: Ma ancora oggi, ha visto com’è brillante la nostra gioventù, nonostante tutto? Quanto talento, inventiva, dinamismo? Usando dei vecchi fax e computer, un gruppo di ventenni ha assemblato una stampante 3D per produrre attrezzature mediche che altrimenti non potrebbero entrare. Questa è Gaza. Non siamo solo indigenza e bambini scalzi. Possiamo essere come Singapore, come Dubai. E facciamo in modo che il tempo lavori per noi, curiamo le nostre ferite. Io sono stato in prigione per 25 anni, ho perso un figlio in un raid aereo, il traduttore che l’accompagna ha perso due fratelli, l’uomo che ci ha servito il tè ha perso sua moglie per un’infezione dovuta a un taglio. Niente di grave ma non c’erano antibiotici ed è morta così: per qualcosa che un qualsiasi farmacista potrebbe risolvere. Pensate che sia facile per noi? Iniziamo con questo cessate il fuoco, diamo ai nostri figli la vita che noi non abbiamo mai avuto. E loro saranno migliori di noi. Con una vita diversa, costruiranno un futuro diverso.
FB: Vi state arrendendo?
YS: Abbiamo lottato tutta la vita per avere una vita normale. Una vita libera dall’occupazione e dall’aggressione. Non ci arrendiamo, continuiamo a lottare.
FB: E durante questo cessate il fuoco, Hamas terrebbe le sue armi o accetterebbe la protezione internazionale, come ad esempio i caschi blu? Come a Srebrenica? Io credo che non la accettereste.
YS: Ha indovinato.
FB: Mi scusi se continuo, ma se questo cessate il fuoco non dovesse funzionare? Non voglio portare sfortuna, ma il passato non è incoraggiante e fino ad ora gli integralisti hanno mandato a monte ogni tentativo di accordo.
YS: Fino ad ora. Prima di tutto, lei sembra molto sicura di sé, ma non c’è ancora alcun accordo. Noi siamo pronti a sottoscriverlo e rispettarlo, Hamas con quasi tutti gli altri gruppi palestinesi. Ma per ora c’è solo l’occupazione. Detto ciò, se saremo attaccati, va da sé, ci difenderemo. Come sempre. E ci sarà una nuova guerra. Ma poi, dopo un anno, lei sarà nuovamente qui. E, di nuovo, anche io sarò qui per dire: la guerra non risolve nulla.
FB: Avete un’arma caratteristica: i razzi. Sono razzi piuttosto improvvisati, in realtà, che la Cupola di Ferro è quasi sempre in grado di fermare (assieme anche a missili più potenti). Migliaia di palestinesi sono stati invece uccisi. I razzi sono stati utili?
YS: Facciamo chiarezza: disporre di una resistenza armata è un nostro diritto secondo il diritto internazionale. Ma non abbiamo solo razzi. Abbiamo diversi mezzi di resistenza, sempre. Questa domanda, onestamente, è più per voi giornalisti che per me. Facciamo notizia solo con il sangue, e non solo qui. Niente sangue, niente notizie. Ma il problema non è la nostra resistenza: è la loro occupazione. Se non ci fosse l’occupazione, non avremmo razzi, pietre, molotov, niente. Avremmo tutti una vita normale.
FB: Ma lei pensa che queste armi abbiano raggiunto il loro scopo?
YS: Certamente no, altrimenti non saremmo qui. Ma allora, che dire dell’occupazione? Qual è il suo scopo? Far crescere degli assassini? Avete visto il video in cui il soldato ci spara come fossimo dei birilli, mentre ride? Loro (gli ebrei) erano persone come Freud, Einstein, Kafka. Esperti di matematica e filosofia. Ora sono esperti di droni, di esecuzioni extragiudiziali.
FB: Ora avete anche una nuova arma caratteristica: gli aquiloni incendiari. Stanno facendo Impazzire Israele perché sfuggono alla Cupola di Ferro e non possono essere abbattuti uno per uno.
YS: Gli aquiloni non sono un’arma. Al massimo danno fuoco alle sterpaglie. Basta un estintore ed è finita. Non sono un’arma ma un messaggio. Sono fatti di spago, carta e un tappeto imbevuto di olio, mentre ogni batteria della Cupola di Ferro costa 100 milioni di dollari. Quegli aquiloni dicono: siete immensamente più potenti, ma non vincerete mai. Davvero. Mai.
FB: I palestinesi in Cisgiordania affrontano la stessa occupazione, eppure hanno optato per una strategia molto diversa: fare appello alle Nazioni Unite, alla comunità internazionale.
YS: Anche questo è fondamentale. Tutto è fondamentale, tutti i mezzi di resistenza. Ma, se posso, scusate: quando si parla di Palestina, la comunità internazionale è parte integrante del problema. Quando abbiamo vinto le elezioni – e abbiamo vinto elezioni libere ed eque – la reazione è stata il blocco della striscia. Immediato. Abbiamo proposto un governo con Fatah, non una ma cento volte; niente. L’unica risposta è stata il blocco di Gaza. Se è andata così, è anche colpa vostra (della comunità internazionale). Anche adesso. Avvertite Hamas: Tratteremo con voi solo se ci sarà Fatah. Poi avvertite Fatah: Tratteremo con voi solo se non ci sarà Hamas. La spaccatura per cui siamo stati tanto criticati è anche effetto del blocco e delle vostre pressioni, che, talvolta, non sono altro che minacce. Con un governo di unità nazionale, Ramallah non riceverebbe più un centesimo. Andrebbe in bancarotta.
FB: Il blocco è in vigore perché Hamas è visto come un movimento anti-sistemico, un movimento, per così dire, non istituzionale. Non rispetta le regole del gioco.
YS: Quale gioco? L’occupazione?
FB: Oslo.. La soluzione dei due Stati.
YS: Ma Oslo è finita. Credo questo sia l’unico punto su cui sono tutti d’accordo, davvero tutti. È stata semplicemente una scusa per distrarre il mondo con negoziati infiniti e nel frattempo costruire insediamenti ovunque, cancellare fisicamente ogni possibilità di uno Stato palestinese. Sono passati 25 anni e cosa abbiamo ottenuto? Niente. Ma soprattutto, perché insistete sempre su Oslo? Perché non parlate mai di quello che è successo dopo? Come il Documento di unità nazionale, ad esempio, basato sul Documenti dei prigionieri del 2006. Questo Documento delinea la nostra strategia attuale, cioè Hamas, Fatah, tutti noi messi insieme: uno Stato entro i confini del 1967, con Gerusalemme capitale, con il diritto al ritorno dei rifugiati. Sono passati 12 anni e voi continuate a chiedere: Perché non accettate i confini del 1967? Ho la sensazione che il problema non sia tra di noi.
FB: La comunità internazionale spende milioni di dollari per i palestinesi.
YS: Spende. Esattamente. Semplicemente spende. Male. Avete onorato gli accordi di Oslo con un premio Nobel per la pace e siete spariti. Nessuno ha monitorato la loro attuazione. La domanda chiave è: era la strategia giusta (per i palestinesi) aiutare a creare il loro Stato e tutte le sue istituzioni? Tra l’altro, devo ricordavi che la quarta Convenzione di Ginevra è chiara: il costo dell’occupazione deve ricadere sulle spalle dell’occupante. Non è compito vostro costruire strade e scuole, e soprattutto ricostruire ciò che viene demolito. Altrimenti, invece di opporvi all’occupazione la rendete più facile.
FB: Il più strenuo oppositore di questo cessate il fuoco non sembra essere Israele – che ora è concentrato sull’Iran – ma Fatah, che teme che si possa rivelare un successo di Hamas.
YS: Un successo? Questo cessate il fuoco non è per Hamas o Fatah: è per Gaza. Per me, ciò che conta è che finalmente ci si renda conto che Hamas è qui, che esiste, che non c’è futuro senza Hamas. Non c’è nessun accordo possibile, perché siamo parte integrante di questa società, anche se perderemo le prossime elezioni. Ma siamo un pezzo di Palestina. E soprattutto, siamo un pezzo di storia del mondo arabo che comprende islamisti e laici, nazionalisti e di sinistra. Detto questo, evitiamo la parola “successo”. Perché è oltraggioso per tutti i malati terminali che in questo momento sono al confine in attesa che si apra. Per tutti i padri che stasera non oseranno neanche guardare i loro figli perché non avranno nulla per sfamarli. Di quale successo stiamo parlando?
FB: Lei è andato in carcere a 27 anni e ne è uscito a 50. Come è stato riadattarsi alla vita? Al mondo?
YS: Quando sono entrato era il 1988. La guerra fredda era in corso, e qui l’Intifada. Per diffondere le ultime notizie stampavamo volantini. Sono uscito e ho trovato internet. Ma, a dire il vero, non sono mai uscito: ho solo cambiato prigione. E nonostante tutto, la vecchia era meglio di questa. Avevo acqua, elettricità, tanti libri. Gaza è molto più dura.
FB: Cosa ha imparato dal carcere?
YS: Molte cose. Il carcere ti costruisce, soprattutto se sei palestinese e vivi tra checkpoint, muri e restrizioni di ogni tipo. Solo in carcere si incontrano finalmente altri palestinesi, si ha tempo per parlare. Si pensa anche a se stessi, a ciò in cui credi, al prezzo che sei disposto a pagare. È come se ora le chiedessi: cosa ha imparato dalla guerra? Risponderebbe: Molto. Direbbe: La guerra ti costruisce. Ma sicuramente vorrebbe non esserci mai stata. Ho imparato molto, sì. Ma non auguro la prigione a nessuno. Proprio a nessuno, neanche a quelli che oggi, attraverso il filo spinato, ci buttano giù come birilli, ridendo, senza rendersi conto che potrebbero finire all’Aia tra 25 anni.
FB: Alla International Criminal Court (ICC).
YS: Certo. Perché, ripeto, non c’è futuro senza giustizia. E noi cercheremo giustizia.
FB: Ma lei sa che anche alcuni palestinesi potrebbero finire all’Aia.
YS: Secondo il diritto internazionale, tutti abbiamo il diritto di resistere all’occupazione. Ma l’ICC è il tribunale e lavorerà su qualsiasi cosa dovrà lavorare. Il suo ruolo, comunque, è essenziale. Non solo per fermare i crimini, ma per punire i criminali. È essenziale anche per le vittime: solo un processo permette di ricostruire l’accaduto ed elaborarlo, in qualche modo. Quando si tratta di dolore, nessun ente terzo può sostituire le vittime. Nessun accordo politico può superare la loro perdita e andare avanti. Questo spetta alle vittime.
FB: Lei è stato rilasciato nello scambio di Gilad Shalit. Hamas ha attualmente due israeliani e i resti di due soldati uccisi durante l’ultima guerra. In un accordo di cessate il fuoco, immagino che lo scambio di prigionieri sia una clausola essenziale per voi.
YS: Più che essenziale, è un obbligo. Non si tratta di una questione politica, ma di un fatto morale. Perché i suoi lettori probabilmente credono che chi è stato in prigione è un terrorista o un fuorilegge in qualche modo, un ladro d’auto. Ma non è così. Tutti noi veniamo arrestati prima o poi. Tutti. Dia un’occhiata all’Ordine Militare 101. Senza l’autorizzazione dell’esercito, è un crimine anche solo sventolare una bandiera o essere più di dieci in una stanza per un tè, chiacchierando di politica. Magari si sta solo parlando di Trump, ma si può essere condannati fino a 10 anni. È una sorta di rito di passaggio, la nostra maturità. Perché se c’è qualcosa che ci unisce, che ci rende davvero tutti uguali, tutti i palestinesi, è la prigione. Per me è quindi un obbligo morale. Farò del mio meglio per liberare coloro che sono ancora dentro.
FB: In qualche modo, avete ottenuto più risultati con i rapimenti che con i razzi.
YS: Quali rapimenti?
FB: Quello di Gilad Shalit, ad esempio.
YS: Gilad Shalit non era un ostaggio, era un prigioniero di guerra. Capisce perché non parliamo spesso con i giornalisti? Un soldato viene ucciso, e voi pubblicate una foto di lui sulla spiaggia, e i vostri lettori pensano che gli abbiamo sparato a Tel Aviv. No. Quel ragazzo non è stato ucciso mentre indossava i bermuda e portava una tavola da surf, ma mentre indossava un'uniforme e portava un M16, e sparava su di noi.
FB: E con il cessate il fuoco?
YS: Con il cessate il fuoco nessuno ci sparerà addosso, giusto? E quindi nessuno sarà imprigionato.
FB: Lei parlava di prigione e di diventare maggiorenni. Hamas ha compiuto 30 anni, come siete cambiati?
YS: Come vedeva, lei, tutto questo, 30 anni fa?
FB: 30 anni fa avevo 8 anni.
YS: Ed è così: siamo cambiati come è cambiata lei. Come sono cambiati tutti. Era il 1988 e, come le dicevo, c’era ancora la guerra fredda. Il mondo era molto più ideologico di oggi, più bianco e nero, amici e nemici. Anche il nostro mondo era un po’ così. Poi, col tempo si impara che si possono trovare amici e nemici dove non ci si aspetterebbe.
FB: La Carta di Hamas è ancora molto “bianco e nero”.
YS: È il nostro primo documento. E forse... l'ultimo conta di più. Perché mi chiede di una Carta di 30 anni fa e non di tutte quelle che l'hanno seguita, che mostrano la nostra evoluzione? Decine e decine di documenti, c'è tutto: il nostro rapporto con la società civile e con gli altri gruppi politici, il contesto regionale, il contesto internazionale e l'occupazione, naturalmente. La risposta a tutte le sue domande è lì. E sinceramente, ci aspettavamo che lei cogliesse il segnale e avviasse un dialogo con Hamas. Perché, ancora una volta, non siamo un fenomeno transitorio. Non c'è futuro senza Hamas. Eppure continuate a chiedere qualcosa di 30 anni fa. E quindi, per quanto riguarda Oslo, ho la sensazione che il problema non sia dalla nostra parte.
FB: E dov’è il problema?
YS: In tutti quelli che ci vedono ancora come un gruppo armato e nulla più. Non avete idea di come sia realmente Hamas. Solo un assaggio: metà dei nostri dipendenti sono donne. L'avreste mai detto? Vi concentrate sulla resistenza, sui mezzi piuttosto che sull'obiettivo, che è uno Stato basato sulla democrazia, sul pluralismo, sulla cooperazione. Uno Stato che protegge i diritti e la libertà, dove le differenze si affrontano con le parole, non con le armi. Hamas è molto più delle sue operazioni militari. È nel nostro DNA. Siamo innanzitutto un movimento sociale, non solo politico. Abbiamo creato mense per i poveri, scuole e ospedali. Da sempre. Perché per fare la propria parte non è necessario essere ministro del welfare. Se sei Hamas, sei un cittadino prima che un elettore
FB: Eppure, quando la maggior parte dei miei lettori pensa ad Hamas, non pensa alla beneficenza. Pensano invece alla seconda Intifada e agli attacchi suicidi. Per gli israeliani, lei è un terrorista.
YS: Ed è questo che sono loro per me, alla luce dei loro crimini contro di noi.
FB: Un inizio perfetto per un cessate il fuoco.
YS: E cosa dovrei dire? Noi colpiamo i civili? Loro hanno colpito dei civili. Hanno sofferto? Noi abbiamo sofferto. Mi parli di uno dei loro morti e le parlerò di uno dei nostri morti. Di dieci dei nostri morti. E quindi? È per questo che è qui? È qui per parlare dei morti o per evitare nuove perdite? Ma soprattutto per voi. Pensate di essere innocenti solo perché siete italiani, né arabi né ebrei? Come è facile per voi venire da lontano e sentirvi saggi e giusti. Tutti abbiamo le mani sporche di sangue. Anche voi. Dove eravate durante questi 11 anni di assedio? E durante questi 50 anni di occupazione? Dove eravate?
FB: Che tipo di vita spera per i suoi figli?
YS: Una vita da palestinesi, naturalmente. A testa alta. Nonostante tutto, spero che siano forti e che continuino a lottare fino al giorno in cui otterranno la libertà e l'indipendenza. Perché voglio che i miei figli sognino di diventare medici non per curare solo i feriti, ma anche i malati di cancro. Come tutti i bambini del mondo. Voglio che siano palestinesi al sicuro, perché possano essere molto più che palestinesi.
FB: Ho dimenticato di chiederle dell’”accordo del secolo”, il piano di pace di Donald Trump. Anche se non è molto chiaro di cosa si tratti, sulla carta non c’è nulla.
YS: In realtà è una cancellazione molto chiara della nostra prospettiva di libertà e indipendenza. Non c'è sovranità, non c'è Gerusalemme. Nessun diritto al ritorno... C'è solo una cosa: il nostro (rifiuto). E questa non è solo la posizione di Hamas. È una posizione su cui siamo tutti d'accordo.
FB: E quindi per ora continuerete con le proteste, le manifestazioni cominciate ad aprile ogni venerdì vicino la recinzione. È stato visto lì molto spesso.
YS: Vi dirò solo due nomi: Ibrahim Abu Thuraja e Fadi Abu Salah. Avevano entrambi 29 anni ed erano entrambi su una sedia a rotelle. Solo due dei tanti amputati delle ultime guerre. Ed è allora che ti rendi conto che qui non ti uccidono perché sei un pericolo - perché che pericolo sei, su una sedia a rotelle, per un esercito che è al di là di un filo spinato, a centinaia di metri da te? No. Qui non ti uccidono per quello che fai, ma per quello che sei. Vieni ucciso perché sei palestinese. Non hai nessuna possibilità.
FB: Se dovesse riassumere tutto ciò che ha detto in una sola frase, qual è il messaggio che vorrebbe che i lettori ricordassero di più?
YS: È ora di cambiare, di porre fine all’assedio, all’occupazione.
FB: Pensa che le crederanno?
YS: È stata qui a giugno, insieme a centinaia di altri giornalisti, e il suo servizio è stato il più duro per noi. Viene anche tradotta in ebraico. Eppure lei è qui, ancora una volta, perché ci rispetta profondamente e noi rispettiamo profondamente lei. A volte, in qualche modo, il messaggero è anche il messaggio. Ora se ne andrà e scriverà tutto. Verrà letto? Verrà ascoltato? Non lo so. Ma abbiamo fatto la nostra parte”.
FB: Sembra abbastanza sicuro di sé.
YS: Sono solo realista. È ora di cambiare.